Riva Demetrio con la seconda moglie Adele Balzarini, mamma del "Dottor Franco"
...Un rapporto più singolare, come spiegherò dopo, legava la bisnonna Maria Besana al figlio Demetrio. Demetrio veniva chiamato dai nipoti Ziu Mètar. Credo ci fosse dell' ironico compiacimento nel gioco di parole, dato che il metro, inteso come robusta barra di legno di sezione rettangolare nella casa dei "mercanti" troneggiava immancabilmente sul bancone del negozio ed era lo strumento di lavoro indispensabile per misurare rapidamente gli scampoli. A volte serviva perfino per minacciare la paga ai bambini disobbedienti. Ziu Metar era stato un po' l'artefice dell'impresa commerciale dei Riva. Il primogenito Guido infatti fin da piccolissimo faceva il muratore (e solo poi divenne ristoratore e cuoco). Paulìn ne aveva seguito le orme fin dalla quarta elementare ma poi era diventato operaio capelé, di cappellificio. Demetrio, forse per conformazione fisica, forse per vocazione, aveva scelto altre vie professionali. Aveva iniziato giovanissimo ad organizzare piccole lotterie a premi nelle osterie. Poi aveva iniziato a vendere "strinc e bindèi" (stringhe e fettucce), girando da ambulante con un cesto di vimini. Inutile dire che era un oculato risparmiatore ed investitore ed incarnava con la sorella Chiarina l'anima più “mercantile” dei Riva, mentre Guido e Paolo erano più idealisti. Sapeva anche investire i risparmi, specie nella terra e nel mattone, fino a far si che i Riva giunsero a possedere un bel po' di case e terre (per inciso un bel po' del cimitero verso S.Albino era "terra dei Riva" espropriata per una "cioca da lat"). Una volta addirittura pare abbia trattato l'acquisto dell'Hotel di San Pellegrino (una struttura mastodontica della Belle Epoque che sta di là del Brembo). Sottopose comunque (per il rispetto gerarchico di cui ho già parlato) l'ipotesi d'acquisto a mio nonno Paulin che la cassò con la frase: "Ma ta ga né mai asé?" (non ne hai mai a sufficienza?). Di certo fosse stato per mio nonno i fratelli Riva avrebbero accumulato assai meno.
Tornando a Demetrio, lo “Zio Metar” aveva sicuramente un certo genio imprenditoriale ma anche una propensione perfino eccessiva alla parsimonia. Così controllava puntualmente ogni entrata ed uscita della famiglia. Le giovani Riva che ormai andavano alle magistrali dalle Canossiane, "in centro", con la crème della borghesia monzese, erano costrette a lavare ripetutamente le calze di seta prima di metterle onde evitare che lo zio si accorgesse che erano nuove. Altrimenti sarebbero state dure reprimende per l'irresponsabile prodigalità dei parenti.
Proprio per questa sua inclinazione al controllo (spending rewew, diremmo oggi) Mètar si era conquistato in famiglia un altro soprannome meno innocente. E l’artefice del graffiante nomignolo era stato il più insospettabile dei familiari. Proprio la sua mamma, bisnonna Marièt, lo chiamava, in sua assenza, il "pètabal" (che potremmo tradurre pudicamente come "il rompiscatole"). A volte, rivolgendosi alle nuore la bisnonna diceva: "Adess che gh'è no 'l pètabal fèmm un bel cafè!".
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