Posted on 29 ottobre 2013
Durante la prima guerra mondiale tutti fratelli i Riva furono impegnati come militari. Anche Guido volle rientrare dalla Svizzera per combattere per il suo paese.
Come già ricordato durante la guerra a mio nonno Paolo morì il primogenito Davide. Mio nonno aveva già perso la prima moglie e due figli. Dalle nuove nozze con mia nonna Virginia Bertani era nato questo bimbo bello ed intelligente. Ma a 5 anni ebbe la meningite. Nonno Paolo essendo non più giovanissimo era stato destinato al carcere militare di Gaeta, dove avrebbe dovuto fare il secondino. Gli incarcerati erano per lo più disertori. Spesso erano semplicemente soldati rientrati in ritardo dalla licenza, magari per il funerale di un figlio. In generale li attendeva la fucilazione. Subivano un trattamento così duro che dopo pochi giorni il nonno Paolo chiese il trasferimento ed accettò di finire al fronte piuttosto che rimanere lì.
Al fronte un giorno vide casualmente una missiva a suo nome e a rischio della vita la aprì. Lo avvertivano che Davidino stava morendo. Accordò la precedenza ad un altro commilitone napoletano cui stava morendo una figlia grande e gli raccomandò di tornare appena possibile. Al rientro del compagno partì subito ma giunto sul cavalcavia della stazione di Monza incontrò un compaesano e gli chiese del bambino. Costui gli disse che purtroppo era già morto. Il nonno ebbe l’impulso di tornarsene al fronte. Ma poi decise di andare a casa. Mentre Davidino lottava per la vita la zia Chiarina era corsa da Don Luigi Telamoni, oggi beato, che godeva fama di taumaturgo, con una veste del piccolo da benedire. Il sacerdote però appena vide la veste disse:” a ghi gemò un angiarìn in ciel” (“avete già un angioletto in cielo”). E proprio a quell’ora, pare, il piccolo era spirato.
Spesso mia madre mi ha ricordato un altro doloroso episodio legato alla morte di Davide. Una vicina di casa commentò questa tragedia così:”I sciuri in sempar furtunà; in gemò sciuri e ga moeur anca i bagài” (“i ricchi sono sempre fortunati; sono già ricchi e gli muoiono anche i figli”). La nonna Virginia ricordava questa frase con dolore ma senza risentimento. La gente era tanto misera, oberata da figli e miseria, da considerare quasi con sollievo la morte di un bambino. La mortalità infantile poi era talmente alta che spesso i bambini non venivano battezzati e nominati finché non erano sufficientemente cresciuti. D’ inverno morivano di bronchite e d’estate di gastroenteriti. Ogni famiglia aveva un gran numero di morticini. Uno dei motivi per cui venne costruita la nostra Parrocchiale era, tra gli altri, che d’inverno più di un neonato era morto lungo il tragitto verso San Gerardo dove ci si recava, a piedi, per il battesimo.
Durante la guerra la mia nonna Virginia Bertani, moglie di Paolo Riva, mostrò una straordinaria tempra. Senza uomini a casa dovette occuparsi dell’approvvigionamento del negozio di tessuti, della sua gestione, delle altre nuore più giovani e anche della costruzione in corso della nuova casa dei Riva all’angolo fra Via Marco d’Agrate e Via Fieramosca. Dovette sopravvivere alla morte del suo piccolo Davide ed allattare ed accudire il piccolo Marco che aveva perso la mamma Maria Mariani subito dopo il parto. A proposito mia madre ricorda sempre che il padre di lei ………..Mariani detto “Barbùn”, faceva spola tra il capezzale della figlia morente cui raccomandava di pregare e la cucina in cui esprimeva anche bestemmiando tutta la sua rabbia.
Il piccolo Marco, quasi coetaneo di mio zio Emilio, venne così allattato e accudito dalla mia nonna Virginia e i due crebbero praticamente come fratelli, anzi come gemelli.
Ed ecco un altro aneddoto rivelatore dei tempi: un giorno la nonna Virginia era in centro a Monza per compare delle stoffe quando, al Punt Scur sentì il seno dolente e pieno di latte. Chiese ad una negoziante di poter andare in bagno a liberarsi un po’ ma la donna le disse. “ Ma sciura Riva ghe ne daga un po’ al me fioeu” e così le diede il proprio pargolo da allattare. Quelli erano i rapporti in uso a quel tempo (siamo all’incirca nel 1915)!
La mia nonna Virginia era una persona pacata e saggia, rispettata dalla altre nuore e tale sua autorevolezza fu ricambiata da tutti. Fino alla sua morte io ricordo le sfilate di parenti che alla domenica venivano a salutarla.
Durante la prima guerra mondiale tutti fratelli i Riva furono impegnati come militari. Anche Guido volle rientrare dalla Svizzera per combattere per il suo paese.
Come già ricordato durante la guerra a mio nonno Paolo morì il primogenito Davide. Mio nonno aveva già perso la prima moglie e due figli. Dalle nuove nozze con mia nonna Virginia Bertani era nato questo bimbo bello ed intelligente. Ma a 5 anni ebbe la meningite. Nonno Paolo essendo non più giovanissimo era stato destinato al carcere militare di Gaeta, dove avrebbe dovuto fare il secondino. Gli incarcerati erano per lo più disertori. Spesso erano semplicemente soldati rientrati in ritardo dalla licenza, magari per il funerale di un figlio. In generale li attendeva la fucilazione. Subivano un trattamento così duro che dopo pochi giorni il nonno Paolo chiese il trasferimento ed accettò di finire al fronte piuttosto che rimanere lì.
Al fronte un giorno vide casualmente una missiva a suo nome e a rischio della vita la aprì. Lo avvertivano che Davidino stava morendo. Accordò la precedenza ad un altro commilitone napoletano cui stava morendo una figlia grande e gli raccomandò di tornare appena possibile. Al rientro del compagno partì subito ma giunto sul cavalcavia della stazione di Monza incontrò un compaesano e gli chiese del bambino. Costui gli disse che purtroppo era già morto. Il nonno ebbe l’impulso di tornarsene al fronte. Ma poi decise di andare a casa. Mentre Davidino lottava per la vita la zia Chiarina era corsa da Don Luigi Telamoni, oggi beato, che godeva fama di taumaturgo, con una veste del piccolo da benedire. Il sacerdote però appena vide la veste disse:” a ghi gemò un angiarìn in ciel” (“avete già un angioletto in cielo”). E proprio a quell’ora, pare, il piccolo era spirato.
Spesso mia madre mi ha ricordato un altro doloroso episodio legato alla morte di Davide. Una vicina di casa commentò questa tragedia così:”I sciuri in sempar furtunà; in gemò sciuri e ga moeur anca i bagài” (“i ricchi sono sempre fortunati; sono già ricchi e gli muoiono anche i figli”). La nonna Virginia ricordava questa frase con dolore ma senza risentimento. La gente era tanto misera, oberata da figli e miseria, da considerare quasi con sollievo la morte di un bambino. La mortalità infantile poi era talmente alta che spesso i bambini non venivano battezzati e nominati finché non erano sufficientemente cresciuti. D’ inverno morivano di bronchite e d’estate di gastroenteriti. Ogni famiglia aveva un gran numero di morticini. Uno dei motivi per cui venne costruita la nostra Parrocchiale era, tra gli altri, che d’inverno più di un neonato era morto lungo il tragitto verso San Gerardo dove ci si recava, a piedi, per il battesimo.
Durante la guerra la mia nonna Virginia Bertani, moglie di Paolo Riva, mostrò una straordinaria tempra. Senza uomini a casa dovette occuparsi dell’approvvigionamento del negozio di tessuti, della sua gestione, delle altre nuore più giovani e anche della costruzione in corso della nuova casa dei Riva all’angolo fra Via Marco d’Agrate e Via Fieramosca. Dovette sopravvivere alla morte del suo piccolo Davide ed allattare ed accudire il piccolo Marco che aveva perso la mamma Maria Mariani subito dopo il parto. A proposito mia madre ricorda sempre che il padre di lei ………..Mariani detto “Barbùn”, faceva spola tra il capezzale della figlia morente cui raccomandava di pregare e la cucina in cui esprimeva anche bestemmiando tutta la sua rabbia.
Il piccolo Marco, quasi coetaneo di mio zio Emilio, venne così allattato e accudito dalla mia nonna Virginia e i due crebbero praticamente come fratelli, anzi come gemelli.
Ed ecco un altro aneddoto rivelatore dei tempi: un giorno la nonna Virginia era in centro a Monza per compare delle stoffe quando, al Punt Scur sentì il seno dolente e pieno di latte. Chiese ad una negoziante di poter andare in bagno a liberarsi un po’ ma la donna le disse. “ Ma sciura Riva ghe ne daga un po’ al me fioeu” e così le diede il proprio pargolo da allattare. Quelli erano i rapporti in uso a quel tempo (siamo all’incirca nel 1915)!
La mia nonna Virginia era una persona pacata e saggia, rispettata dalla altre nuore e tale sua autorevolezza fu ricambiata da tutti. Fino alla sua morte io ricordo le sfilate di parenti che alla domenica venivano a salutarla.
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