domenica 14 settembre 2014

LA CASA DI OLCELLERA


Posted on 29 ottobre 2013


 

 

A proposito di Zia Chiarina c’è da dire che il luogo dove più esplicava la propria tutela e sorveglianza nei confronti dei nipoti era la casa di Olcellera. Lì i fratelli Riva avevano comperato una casa e anche un pò di terra. Olcellera si trova in Brianza. E’ una frazione di Olgiate Calco e si trova dopo Calco, al primo incrocio verso Lecco, dove hanno una casa anche le suore zie di mio cognato Alfredo. La casa venne probabilmente indicata a Demetrio Riva dal cognato Ing. Egidio Balzarini, fratello di Adele, seconda moglie di Demetrio che era rimasto precocemente vedovo. I Balzarini erano persone educate, di famiglia benestante e secondo la mamma l’Ingenere era “una brava persona”, anche se la moglie era “molto fascista”.
La casa di Olcellera venne comperata quando mia mamma era piccola e fu tenuta fin dopo la seconda guerra mondiale, all’epoca in cui mio zio Emilio, fratello di mia madre, si separò dalla azienda dei vecchi e si mise per conto suo a Monza, aprendo un negozio davanti alla chiesa di Regina Pacis, dove ora c’è un ristorante-pizzeria gestito da egiziani. La terra di Olcellera venne alla fine tenuta da zio Demetrio che pagò un terzo ad ogni fratello. 
La casa era piuttosto bella, residenziale. Non era una cascina. C’era un bel terrazzo. Sul dietro c’era la stalla e un prato un pò in salita. La casa era più in su della stradina di accesso che pure era in salita. C’era un bel dislivello per arrivare al piano del terrazzo. Dentro c’era un’ampia cucina contadina con un grande camino che aveva al suo interno due panche. Una volta anche io sono andato in visita ma ero piuttosto piccolo e non ricordo molto. Il “loch” (dieresi; il pezzo di terra come si dice in Brianza) era a gradoni. Nel loch c’era anche una sorgiva con una vasca quadrata. Dentro c’erano anche due o tre gamberi. C’erano viti e piante di “per buter” e un cespuglio di scigerit o cesarit (frutti rotondi rossi, con polpa gialla e semini grossi che sembravano chicchi).
In casa, dopo una prima rampa c’era il gabinetto comune che era una latrina col buco. C’era poi un altro piano di sopra con altre camere. Probabilmente maschi e femmine avevano camere separate. La stradina in salita portava poi al lavatoio comune  che aveva una grande vasca rettangolare coi piani inclinati su tutti e  quattro i lati ed acqua sorgiva sempre nuova. Dopo il lavatoio girando a destra si andava nel loch. Comunque i Riva, in vacanza, occupavano un solo grande locale.
Per inciso e per la verità anche nella casa nuova (e attuale) dei Riva c’era la latrina. Solo quella della zia Adele aveva anche il piano per sedersi, con un asse di legno sempre ricoperto da una benda che probabilmente veniva regolarmente cambiata).
Alla fine la casa di Olcellera venne ricomprata dagli stessi contadini che l’avevano venduta ai Riva. La mamma della famiglia contadina si chiamava “Sciura Luisina” ed aveva le gambe anchilosate. Si spostava appoggiandosi allo schienale di una sedia. Il marito si chiamava Carlò (dieresi e accento sulla o). I maschi facevano i contadini e si chiamavano Gerolamo, Giuseppe e Mario, il quale (cosa molto sorprendente per i piccoli Riva!) aveva 2 mignoli in ciascun piede. C’erano anche tante femmine. Mia mamma Enrica ricorda Mina, sposata a Sesto, Antonietta, sposata a Monza con un vigile e altre due, una Rachele e una Marina, la quale spesso chiedeva ad Enrica e a Dina, che facevano le magistrali, di leggerle il breviario in latino. Marina era la più giovane e morì prematuramente. Le ragazze lavoravano in tessitura “in Bevera” (Beverate?).
Ad Olcellera, per andare in chiesa c’era prima una discesa stretta e poi sotto il ponte della ferrovia ecco una strada larga che scendeva dalla stazione e passava davanti al “Fabbricone”(che era un cementificio). La Chiesa era consacrata a S. Zeno. Dina e mamma Enrica spesso la domenica dormivano a piacere e poi, con un ombrellino bianco a fiori rossi per ripararsi dal sole, si recavano alla chiesa. Suonavano e il prete scendeva apposta per dare loro la comunione. Forse il parroco di S. Zeno era così accondiscendente nei confronti delle due “villeggianti” perché era stato in seminario con Don Mario Colombo di S.Albino ed era suo grande amico. Don Mario era anche amico di zio Emilio e veniva volentieri in casa Riva, anche a trovare la nonna Marièt. Anche Don Arturo Salvioni, che era di carattere piuttosto arcigno veniva volentieri in casa dei Riva dove confessava di poter ammirare una grande armonia fra le cognate, mentre sua mamma che abitava a Carugo invece soffriva molto per i dissapori fra le sue nuore.
A Olcellera coi piccoli Riva stavano a turno la mia nonna Virginia, la zia Maria Carsani (moglie dello zio Giuseppe Riva) e soprattutto la zia Chiarina. La zia Chiarina accompagnò anche i nipoti  Dina, Enrica e Mario a Diano Marina. Lì cera anche “la Luigia del Cederna”, figlia della “Zia Irene” e dunque nipote di Riva Guido. Zia Irene, come già detto era letteralmente cresciuta in casa dei Riva. Per via della differenza d’età mia mamma Enrica la chiamava zia anche se in realtà erano cugine prime.
Quando gestiva i nipoti in vacanza la Zia Chiarina li obbligava al sonnellino pomeridiano e per essere certi che non chiacchierassero si sedeva in cortile sotto la finestra della camera a sorvegliare.

 

Nessun commento:

Posta un commento