MEMORIA E' CULTURA - CULTURA E' METTERSI NEI PANNI DEGLI ALTRI
Credo
di averlo appreso proprio dai racconti di mia madre e soprattutto
dall'immagine che lei mi restituito di suo padre Paolo, mio nonno.
PREMESSA
(tratta da un articolo pubblicato in passato).
Io
sono brianzolo. Potrei definirmi padano…se la Padania esistesse. I miei
antenati erano contadini. Non conoscevano vacanze e ancor meno viaggi
di piacere. Non avevano neppure molta dimestichezza con la lingua
italiana e la loro lingua madre era il dialetto. Abitavano in una
frazione di Monza costituita da quattro cascine e qualche cortile. Un
mondo stanziale, immoto, chiuso, verrebbe da pensare. Ma…
Il
mio bisnonno si chiamava Riva Davide. Era di certo uno dei pochi in
grado di leggere in tutta S. Albino (Monza). Come abbia fatto ad
imparare resta un mistero. Nacque probabilmente nel 1844. Un fratello di
Davide, Riva Gerardo, in modo per noi almeno altrettanto sorprendente
era approdato a Parigi dove, partendo probabilmente da garzone di
muratore divenne architetto con tanto di “Legion d’onore” o analoga
onorificenza francese (come è possibile verificare visitando la sua
bella tomba nel cimitero di Monza).
Tra
i figli di Davide il maggiore, Riva Guido, nato nel 1877, quando
raggiunse l’età di una decina d’anni venne messo sul treno tutto solo e
approdò dallo zio Gerardo a Parigi. Lì, qualche anno dopo, cominciò ad
appassionarsi alla politica e presto divenne un socialista
“massimalista”. Forse dei dissapori con lo zio (ma questa è solo una
nostra congettura) lo fecero emigrare a Zurigo dove gestì per anni una
“Trattoria Lombarda” nella quale con la compagna zurighese Ottilia Anna
Kuster ospitò spesso gratuitamente socialisti di tutta Europa, dalla
Balbanoff al giovane Mussolini, allora renitente alla leva. Ai tempi del
fascismo Mussolini in persona, forse per riconoscenza, lo convocò a
Milano ma Guido si guardò bene dall’andarci. O meglio ci puntò piede ma
scoprì con fastidio che l’usciere- guardia era un vecchio compagno
socialista. Alla sua malcelata sorpresa l’altro rispose: “Eh, Riva! Seri
stuff da specià ‘l sol dell’avvenire!” (“ero stanco di attendere il Sol
dell’Avvenire”). Guido allora uscì e poi mandò avanti la giovane figlia
Irene a raccontare che il babbo era dovuto tornare a Zurigo. Per
decenni i familiari lo presero in giro dicendo:”Che stupido! Magari
voleva nominarti Viceré dell’Abissinia!”.
La
relazione di Guido con Ottilia (che i piccoli Riva però chiamavano “Zia
Elisa”) fu un po’ burrascosa. Forse lui…troppo italiano e lei…troppo
svizzera tedesca. Così la figlia Irene crebbe in Italia con la famiglia
paterna mentre le altre due figlie Rosa ed Anna vissero a Zurigo con la
madre. Kurt Peyer, figlio di Anna Riva, appena scomparso, si trasferì
poi in Canada ed ebbe figli e nipoti che fortunatamente sono ancora in
contatto con noi. Anche a Zurigo ho ancora parenti.
Mio
nonno Paolo Riva, secondogenito di Davide, nato nel 1879, ebbe meno
occasioni di viaggiare. Ma fece due anni di militare in Sicilia, a
Bagheria, attorno al 1900, più o meno ai tempi in cui è ambientato il
film di Tornatore. Amò profondamente quel paese a suo dire bello e
ospitale, imparando tra l’altro a mangiare le olive che in “Padania”
erano allora ignote. Durante la prima guerra mondiale, ormai piuttosto
anziano per la battaglia, fu mandato come secondino al carcere militare
di Gaeta. Fu nauseato dalle violenze inferte ai detenuti, per lo più
disertori, spesso giudicati tali solo per essere rientrati in ritardo da
una licenza, magari per il funerale di un figlio. Allora chiese di
andare al fronte dove ebbe un ottimo rapporto coi commilitoni del sud e
imparò a cantare tutte le canzoni napoletane.
Un
mio trisnonno materno, Bertani Giuseppe da Villa Cortese (Mi) si
trasferì a Busto Arsizio e da lì in Argentina con figli e nipoti (una
decina di persone). Era (probabilmente) il 1882. Lui aveva già 54 anni e
non riuscì ad adattarsi. Tornò lui solo ed il figlio Gerolamo, mio
bisnonno, lo ritrovò alla stazione di Busto Arsizio seduto sul
marciapiede, sconsolato e più misero (pusé puarètt) di quando era
partito. Coi parenti argentini, residenti a Buenos Aires in Calle
Aguirre, i vecchi mantennero relazioni epistolari fino a metà del 1900.
Mia nonna Virginia Bertani corrispondeva con una cugina sua coetanea di
nome Zemira (secondo altri Zaira). Finora i miei tentativi di ritrovare
contatti con loro risultano vani.
Del
mio trisnonno paterno Teruzzi Antonio si dice che a fine 1800 se ne sia
andato in Brasile, da solo, forse per motivi di cuore. Nessuno ne ha
più saputo nulla.
Tra
i parenti acquisiti, mio suocero, Martinengo Rino, era un vero
“milanesùn” e parlava un vivace meneghino. Ma come per la maggior parte
dei milanesi le sue origini erano “ariose”. I suoi genitori erano
padovani, dei Colli Euganei (Arquà Petrarca ed Este).
Io
invece ho due figlie indiane, del Kerala. Figlie adottive,
naturalmente. Vini, la più grande, ha due bellissimi bimbi
(italo-indiani). Un maschietto di cinque anni che si chiama
Suryen (Sole in hindi) e una bimba di un anno che si chiama
Nami (che in giapponese significa "onda"). Lovely, detta Lally, l’altra
figlia, studia il cinese e ora è in Cina perché ha vinto una borsa di
studio. Il suo ragazzo è di Cantù. Lui ha tre fratelli naturali e un
fratello adottivo di origine albanese, unico dei quattro che parli
fluentemente brianzolo, lavorando da anni con ruvidi mobilieri
canturini.
La
figlia di mia sorella, Iris, invece, ha fatto una tesi su Cuba. E’
stata alcuni mesi all’ Università de L’Avana. Così ha conosciuto e
sposato un ragazzo cubano, Roger, nato in “Plaza de la Revolucion,
Avana, Cuba” (così recitano testualmente i suoi documenti!). Quando
Roger è andato a votare alle primarie del PD uno scrutatore vecchio
compagno comunista leggendo la sua carta d’identità ha avuto un moto di
irrefrenabile emozione ed è balzato sull’attenti gridando “Osti,
compagno! Piazza della Rivoluzione, Avana, Cuba!”. Come se non bastasse
il testimone di nozze di Iris e Roger è stato Alberto Granado, il mitico
compagno del Che nelle scorribande latinoamericane descritte ne “I
diari della motocicletta”!
Forse
per tutto ciò che ho raccontato sopra, nonostante io sia
incontestabilmente brianzolo e credo anche un po’ celta (mia madre ha
capelli biondi ed occhi azzurri e mio nonno era soprannominato “al russ”
cioè il rosso) la proposta di “piccola apartheid” avanzata qualche anno
fa dal leghista Salvini (carrozze separate per gli immigrati) mi
disturbò assai stimolando la mia vena poetico-ironica. Tanto che mi
scappò questa letterina allo stesso:
11/05/2009
Per Matteo Salvini - Quesito (in dialetto): su che carrozza deve viaggiare la mia famiglia?
Caro
Salvini, te scrivi in dialett inscì te capiset (ma te'l set de bun el
dialet?). Mi sun munsciasch e de brughé (monzese/brugherese) de tut i
generasiun (serum minga nobili e rivi domà ai mè trisnoni). Dumà mia
nona materna l'era “furestera”, ma de Bust Arsizi. Per la mia mié l'è
pusé dificil. Sua mama e i so antenà in de Lisùn. El so papà l'era de
Milan (el parlava propi de milanesùn) ma i so de lu eren del Veneto
(teruni de l'alta Italia, se diseva una volta).
I mè do tusann però in indian (adutà)! La pusè granda adèss la specia un fiulìn. El papà del mascèt l'è propi briansoeu.
Se
poeu vegn anca la mia neuda (la tusa de mia surèla) ven foeura un alter
catabui (un casino) perché lé l'ha spusà un bagai de Cuba! Per furtuna
per adess a gann no de fioeu e se risparmia un alter prublema.
Fam
savè in che manéra podum andà in gir cui mèzi public. Tegn présént che i
mè tusann gan la citadinansa italiana ma la pèl un pò scurèta e se ghè
in gir i rundi (le Ronde leghiste) poeu dass che ghe tuca andà in la
carosa di extracumunitari. El me neudin per adess el so no m'è 'l
végnerà foeura!
Te sét un bel sacramént!
PS:
ma ti te set propi de Milan o ariùs cumè l'ex diretùr de la Padania, la
sindacalista Moro e la mié del Bossi? O magari te vegnet giò cun la
pièna de la Val Brembana o i tò antenà purtaven i bricòi
(contrabbandieri) in Val Telina...
Ma se ghe pensi ben, a la fin de la féra, me interèsa pu savè nagòt.
A bun cunt, fa un bel mesté.....SALVINI, TACHES AL TRAM! (dedré, inscì se incuntrum no!)
...
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