QUANDO LO STATO ITALIANO CONVINSE I PADRI AD ODIARE I FIGLI SOLO PERCHÉ NON ERANO MORTI A CAPORETTO: LA STORIA DEI 100.000 PRIGIONIERI ITALIANI MORTI DOPO ESSERE STATI ABBANDONATI E CALUNNIATI DAI NOSTRI VERTICI MILITARI
“Tu mi chiedi il mangiare, ma a un vigliacco come te non mando nulla; se non ti fucilano quelle canaglie d’austriaci ti fucileranno in Italia. Tu sei un farabutto, un traditore; ti dovresti ammazzare da te. Viva sempre l’Italia, morte all’Austria e a tutte le canaglie tedesche: mascalzoni. Viva l’Italia viva Trieste italiana. Non scrivere più che ci fai un piacere. A morte le canaglie.”
Così un padre da L’Aquila, rispondeva alla missiva del figlio, prigioniero a Mauthausen.
La lettera agghiacciante è una delle tante ritrovate negli archivi militari e purtroppo esprime bene quale fosse l’opinione che almeno una parte del paese nutriva verso gli italiani internati in Austria.
Dopo la disfatta di Caporetto, i vertici militari, le autorità politiche e la monarchia, non potevano certo assumersi l’onere del disastro. E così decisero di scaricare la responsabilità del cataclisma sulla testa dei poveri soldati. Di certo se il fronte aveva ceduto non era per ragioni tattiche, strategiche, per l’impreparazione dei comandi, per l’assenza di adeguati armamenti. Se il fronte aveva ceduto era per colpa di un complotto filo-austriaco, per la viltà dei fanti, per l’incapacità degli ufficiali subalterni.
Oggi oltre che farci inorridire queste tesi ci lasciano sgomenti, ma all’epoca la propaganda martellante, il patriottismo esasperato e il deliro bellicista, portarono numerose persone a credere ciecamente alla teoria del tradimento. Teoria che tra i suoi nobili sostenitori annoverava il prode D’Annunzio, il quale non esitò a definire i prigionieri come “imboscati d’Oltralpe”.
La conseguenza di questa divulgazione fu, in molti casi, la rescissioni dei legami di sangue che univano le famiglie. In tanti si rifiutarono di adempiere alle richieste dei propri cari. Tutti coloro, che, invece, fedeli al vincolo d’amore, inviarono viveri dovettero fare i conti con i controlli governativi, che bloccarono centinaia di pacchi destinati ai nostri ragazzi. Cosa che nessuno degli altri paesi in guerra osò mai fare.
Le conseguenze furono terribili. Dei 600000 prigionieri italiani, 100000 morirono di fame e malattie senza che il nostro governo muovesse un dito. Molti di loro con le ultime forze scrissero lettere accorate a quei familiari che ormai li detestavano. Erano ragazzi mandati a combattere un conflitto che non gli apparteneva, che avevano assaltato trincee, versato sangue ed ucciso in nome di una Patria a cui non importava nulla di loro.
Lettere di ragazzi a cui i vertici militari avevano tolto tutto, compreso l’amore dei cari, grazie ad una propaganda bellicista di cui tante volte, tanti uomini sono stati vittime.
Perché come diceva Eschilo, già 2500 anni fa, in guerra la verità è la prima vittima.
Cannibali e Re
“Tu mi chiedi il mangiare, ma a un vigliacco come te non mando nulla; se non ti fucilano quelle canaglie d’austriaci ti fucileranno in Italia. Tu sei un farabutto, un traditore; ti dovresti ammazzare da te. Viva sempre l’Italia, morte all’Austria e a tutte le canaglie tedesche: mascalzoni. Viva l’Italia viva Trieste italiana. Non scrivere più che ci fai un piacere. A morte le canaglie.”
Così un padre da L’Aquila, rispondeva alla missiva del figlio, prigioniero a Mauthausen.
La lettera agghiacciante è una delle tante ritrovate negli archivi militari e purtroppo esprime bene quale fosse l’opinione che almeno una parte del paese nutriva verso gli italiani internati in Austria.
Dopo la disfatta di Caporetto, i vertici militari, le autorità politiche e la monarchia, non potevano certo assumersi l’onere del disastro. E così decisero di scaricare la responsabilità del cataclisma sulla testa dei poveri soldati. Di certo se il fronte aveva ceduto non era per ragioni tattiche, strategiche, per l’impreparazione dei comandi, per l’assenza di adeguati armamenti. Se il fronte aveva ceduto era per colpa di un complotto filo-austriaco, per la viltà dei fanti, per l’incapacità degli ufficiali subalterni.
Oggi oltre che farci inorridire queste tesi ci lasciano sgomenti, ma all’epoca la propaganda martellante, il patriottismo esasperato e il deliro bellicista, portarono numerose persone a credere ciecamente alla teoria del tradimento. Teoria che tra i suoi nobili sostenitori annoverava il prode D’Annunzio, il quale non esitò a definire i prigionieri come “imboscati d’Oltralpe”.
La conseguenza di questa divulgazione fu, in molti casi, la rescissioni dei legami di sangue che univano le famiglie. In tanti si rifiutarono di adempiere alle richieste dei propri cari. Tutti coloro, che, invece, fedeli al vincolo d’amore, inviarono viveri dovettero fare i conti con i controlli governativi, che bloccarono centinaia di pacchi destinati ai nostri ragazzi. Cosa che nessuno degli altri paesi in guerra osò mai fare.
Le conseguenze furono terribili. Dei 600000 prigionieri italiani, 100000 morirono di fame e malattie senza che il nostro governo muovesse un dito. Molti di loro con le ultime forze scrissero lettere accorate a quei familiari che ormai li detestavano. Erano ragazzi mandati a combattere un conflitto che non gli apparteneva, che avevano assaltato trincee, versato sangue ed ucciso in nome di una Patria a cui non importava nulla di loro.
Lettere di ragazzi a cui i vertici militari avevano tolto tutto, compreso l’amore dei cari, grazie ad una propaganda bellicista di cui tante volte, tanti uomini sono stati vittime.
Perché come diceva Eschilo, già 2500 anni fa, in guerra la verità è la prima vittima.
Cannibali e Re
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