Nella giornata di mercoledì 7/3/2018 si sono svolti a Sant’Albino
i funerali di Luisa Garofano. La chiesa era gremita. Per chi l’ha conosciuta questo
era prevedibile. Per chi non ha avuto questa opportunità voglio raccontare in
breve la sua vita perché, come ha detto Don Alessandro Fusetti lei ci ha
lasciato dei fili che ognuno di noi può raccogliere e continuare a tessere per
il bene di ciascuno e della nostra comunità: la fede, la sete di giustizia, il
senso di responsabilità e impegno nei confronti della famiglia e della società
intera, la solidarietà e l’attenzione ai più svantaggiati, il rigore ma anche
la capacità di mediare e soprattutto la rettitudine morale. Sarà un racconto
breve perché lei commenterebbe: ”Nani, intendo dire, non ti sembra di esagerare?”. Ma credo sia sempre
importante capire da quali radici viene una persona così e confrontarsi col suo
modo di affrontare l’esistenza.
Luisa è nata a Zogno (Bg) nel giugno del 1943. In realtà il
nonno paterno “Bigio” Garofano non era bergamasco. Era piemontese, montanaro
del Mottarone, sopra il Lago Maggiore. Garofano era un cognome di fantasia
perché era un “trovatello”. Ma era sveglio, vivace e da giovanissimo cominciò a
girare il Nord Italia per vendere ombrelli e poi tessuti. Alla fine si stanziò
a Zogno dove coi figli pian piano realizzò una certa fortuna come “mercante”.
Forse Luisa ha ereditato un po’ della tenacia schiva di quel montanaro
piemontese.
La mamma, Amelia Riva, era di Sant’Albino. Figlia del “Paulin
di Riva” che a sette anni lavorava in cantiere edile, poi divenne cappellaio
ben retribuito ma collaborò con il deputato socialista Reina ad organizzare i
primi scioperi a Monza e ai primi del novecento fu licenziato. Anche lui si
rimboccò le maniche e coi fratelli costruì una piccola fortuna vendendo tessuti
senza mai dimenticare però le sue origini. Collaborò alla creazione del Circolo
socialista “De Amicis” di cui fu anche Vicepresidente. Un altro fratello, Riva Guido,
emigrò bambino a Parigi e poi a Zurigo dove divenne anche il gerente del “Cooperativo”,
un circolo che raccolse i rifugiati socialisti soprattutto durante il Fascismo.
Luisa ha avuto un’infanzia piena di affetto ma anche di
dolore. A undici anni ha perso il padre e poco tempo dopo anche la madre ha avuto una
grave malattia. Allora con la madre e la nonna è tornata a Sant’Albino, accudita
come una figlia dalla zia Enrica Riva e dallo zio Renato Teruzzi, i miei genitori.
E non dovrei dirlo proprio io ma anche queste due figure non erano persone
qualsiasi. Intanto erano cattolici con un grande senso dell’impegno civico e
della giustizia sociale. La zia Enrica, maestra di una volta, le ha instillato
il senso del rigore e della rettitudine morale e la passione per gli studi. Lo
zio Renato, giovanissimo partigiano e da sempre impegnato nel movimento cooperativo l’ha avviata all’impegno
politico.
Luisa si è diplomata col massimo dei voti al Liceo classico
Zucchi di Monza. In quell’anno è stata premiata come la migliore studentessa di
Monza. Poi si è laureata col massimo dei voti in biologia. E’ stata immediatamente
assunta nell’azienda farmaceutica Farmitalia dove ha lavorato per tutta la sua
carriera professionale. Per lunghi anni è stata ricercatrice e ha legato il suo
nome anche ad alcune ricerche importanti nel campo della cura farmacologica.
Negli ultimi anni, quando il destino dell’azienda era segnato accettò per senso
di responsabilità di svolgere un ruolo dirigenziale impegnandosi a costruire in accordo coi sindacati dei percorsi di “uscita”
meno traumatici possibile per il personale e soprattutto per i dipendenti che
erano nelle situazioni socialmente più disagiate. Un modo di operare di cui era
orgogliosa e non proprio usuale per i manager addetti a tali attività.
Anche in politica si calò sempre per senso del dovere e
senza ambizioni personali. Fu segretaria della Democrazia Cristiana del
quartiere S. Albino ma per qualche giorno anche della DC cittadina. Accettò l’incarico,
come mio padre del resto, solo per consentire un accordo temporaneo tra
correnti in conflitto.
Armata di una fede religiosa profonda portò anche in Parrocchia
un contributo di impegno rigoroso e mai superficiale.
Collaborò per anni alla amministrazione dei beni parrocchiali e fece parte del
Consiglio Pastorale.
Per molti anni poi si spese nella gestione della Cooperativa
Cattolica, una istituzione centenaria nata appunto con finalità di solidarietà
sociale. Anche qui il lascito di cui sarebbe più orgogliosa è legato agli ultimi
anni di lavoro. Di fronte alle crescenti difficoltà economiche si è battuta per
non fare della vendita dei beni (anche immobiliari) della Cooperativa una mera
operazione economica. Ha cercato con caparbietà una soluzione che contemperasse
l’inevitabile vendita con la missione solidale affidata alla Cooperativa dai
nostri avi fondatori. Ed è riuscita. Infatti la Cooperativa verrà rilevata
dalla Onlus il Brugo che si occupa di
disabilità e che realizzerà delle strutture abitative per il “dopo di
noi”. Penso che possa andarne molto fiera.
Negli ultimi anni ha partecipato alla Consulta di quartiere
portando anche lì il suo contributo critico, a volte la sua vis polemica, ma
anche il cuore, la passione civica e sociale, la capacità alla fine di trovare
una mediazione. Soprattutto ha collaborato a fare della Consulta un luogo di
incontro di tutte le realtà del quartiere attorno alla ricerca del benessere collettivo.
Per finire, e questo non vorrebbe venisse raccontato, ha
elargito tempo e denaro nell’assistenza e nell’aiuto di tanti cui si è
accostata sempre con rispetto, alla pari, solo per il senso del dovere che è
stato la cifra della sua esistenza.
Grazie a Don Alessandro per lo stupendo ricordo.
Cosa è stata per la famiglia lo ha capito chi era in chiesa
e ha ascoltato i ricordi della figlia e dei nipoti.
Per me è stata cugina ma soprattutto una sorella maggiore e
cercherò di raccogliere almeno qualcuno dei “fili” che ci ha lasciato.
Paolo
Nessun commento:
Posta un commento