E dal cielo caddero tre mele di Narine Abgarjan
Recensione di Chiara Maria Riva, vincitrice del Concorso “Io, BookInfluencer” per la categoria Esordiente.
Maran è un villaggio armeno fuori dal tempo e dimenticato dagli uomini sul fianco del monte Manish Kar; il suo destino è stato segnato da guerre e carestie, il suo volto sfigurato da un terremoto.
Senza più giovani né ricordi da tramandare, la comunità solidale di anziani che lo abita si appresta a invecchiare malinconicamente senza eredi e senza futuro, ma tra i suoi abitanti la bibliotecaria Anatolija, donna dal cuore d’oro nonché unica persona istruita del paese, e il fabbro Vasilij, occhi “color della cenere spenta, spalle larghe e due pugni enormi e invicibili”, diventeranno protagonisti di un evento tanto naturale quanto miracoloso che infonderà nel paese una speranza di rinascita.
L’autrice, Narine Abgarjan, scrittrice armena trapiantata in Russia, firma un’opera insolita, tra storia e fiaba.
Per le figure degli anziani di Maran ha ripescato tra le suggestioni e i ricordi d’infanzia legati ai nonni armeni, come la frase che dà il titolo al romanzo, una tipica espressione con cui i vecchi concludevano il racconto delle fiabe della tradizione, circonfuse di un alone di leggenda. Senso del magico e della spiritualità rappresentano un importante polo tematico del romanzo e convivono con l’altra sua anima, quella più storica e antropologica.
Lo stile dell’autrice si adatta con abilità a questi temi; da una parte descrive le abitudini spartane e la faticosa routine quotidiana degli abitanti, ci immerge abilmente nei profumi e nei sapori della cucina povera che non spreca nulla, nei riti funebri e nelle preparazioni per le feste. Dall’altra parte, la stessa scrittura si astrae per rivelarci l’esistenza di un mondo nascosto che dialoga con il mondo visibile in un’osmosi continua di messaggi dal cielo alla terra, dalla natura alle persone, dall’aldilà ai vivi.
Questa è l’eredità che la letteratura del realismo magico trasfonde nel nostro romanzo armeno; non per niente Narine Abgarjan ha affermato che Cent’anni di solitudine di Gabriel García Márquez, miglior incarnazione di questo movimento in letteratura, è il suo romanzo preferito.
Maran è un’altra Macondo, un paese con un’anima e un luogo dell’anima; gli animali (nel romanzo in particolare un misterioso pavone bianco) sono legati alle persone in modo che non ci è dato spiegare e i momenti del giorno hanno significati ultraterreni come le ore prima dell’alba in cui gli angeli della Morte vengono a prendersi le anime.
Gli abitanti del villaggio sono paragonati a statue scolpite nella roccia, la stessa di cui sono fatte le case di Maran che dopo anni di ferite “culla il suo dolore tra braccia di pietra”: e il cerchio delle similitudini si chiude con questo legame tra il luogo e i suoi abitanti che qui continuano a vivere tenacemente, reagendo a ogni disgrazia, fedeli alle proprie radici.
E dal cielo caddero tre mele ha un sapore molto simile a opere come Cent’anni di solitudine e La casa degli spiriti di Isabel Allende; chi ha amato questi libri non potrà non amare anche questo.
Perché emoziona allo stesso modo, ma al contempo è qualcosa di diverso; e non rivelo altro se non che l’incipit del romanzo e la sua conclusione sono tra i più sorprendenti che si possano trovare in letteratura.
Il suo finale, senza essere consolatorio e buonista, è denso di speranza, e nella sua semplicità, ci incanta senza rimedio. Perché, come si legge nel libro, le parole semplici hanno sempre un significato profondo.
Narine Abgarjan – E dal cielo caddero tre mele
268 pagg., 18 euro – Francesco Brioschi Editore 2018
ISBN 9788899612191
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